sabato 18 luglio 2015

Vi racconto una storia: Lasciarsi amare - Alice Semioli (Parte 2)


CONCORSO VI RACCONTO UNA STORIA
AUTORE/AUTRICE: A. SEMIOLI
TITOLO: LASCIARSI AMARE

Trascorsero altri due mesi senza di Lui e ancora non avevo realizzato di essere rimasta da
sola per davvero. Non un messaggio, non una telefonata. L'avevo anche chiamato: avevo parlato con la sua voce registrata e apatica della segreteria telefonica per dirGli che era uscito l'ultimo film di Sorrentino al cinema. Una telefonata del tutto inutile, una palese scusa per sentirlo siccome Lo sapeva meglio di chiunque che quel film era proiettato nelle
sale cinematografiche. Non rispose, come da programma. Mi inventavo le scuse più disparate per incontrarlo, ma nonostante cercassi di ingannare il caso, il destino ne usciva
sempre vincitore. Sono andata al cinema. Da sola. Mi guardavo attorno nella speranza di trovarlo lì e aver riservato un posto per me accanto al suo. Non trovai lui, al cinema. Trovai il figlio della mia insegnante. Si era seduto proprio di fianco a me. Mi aveva riconosciuto.
Ero certa che si fosse seduto vicino a me proprio per quello. Era tremendamente bello,
anche più di quando aveva diciott'anni. Mi era capitato di incrociarlo qualche anno fa
vicino a casa mia, ma lui non mi aveva vista.
Ci siamo voltati l'uno verso l'altra per guardarci bene, per essere sicuri che fossimo rimasti
sempre gli stessi, nonostante il tempo trascorso in assenza l'uno dell'altra. Ci siamo sorrisi,
non per imbarazzo, ma per felicità. Non ci siamo detti nemmeno una parola, ci siamo
soltanto abbracciati. Non volevo distruggere quel momento con parole inadeguate o
superficiali, ho preferito affidare tutto a un gesto e al silenzio. Ero sicura che così non avrei
potuto sbagliare nulla. Potevo morirci o viverci nel calore di quella stretta di corpo e d'
anime. Non ricevevo un abbraccio simile da quanto?! Quattro mesi? Forse non ricevevo un
abbraccio come quello da molto più tempo, forse addirittura dieci anni.




Chissà se Lui mi aveva mai abbracciata davvero.
“Sei cambiata. Sei più bella”
“Anche tu, vecchio mio.”
Per due ore era l'unica cosa che eravamo riusciti a dirci. Eravamo entrambi estremamente
concentrati sul film, o almeno, così sembrava. Uscita dal cinema, ero confusa: non capivo
se ero rimasta stupita dal finale o dall'incontro.
Mi chiese di fare una passeggiata insieme, mi aveva detto 'una mezzora e sei a casa'. Erano
trascorse altre due ore e io non avvertivo lo scorrere del tempo, che da quattro mesi a
questa parte era diventato il mio nemico più acerrimo. Mi parlò dei suoi studi, del lavoro
da insegnante. Chiacchierando, avevamo riesumato numerosi ricordi che erano finiti quasi
del tutto nel dimenticatoio, ma che, a quanto pare, lui ricordava molto meglio di me.
Ricordammo di quando la madre doveva tornare a casa e io mi rivestivo a metà e scappavo
sul pianerottolo del piano superiore per non incontrarla sulle scale oppure di quando, dopo
aver fatto l'amore, mi aveva riempita di schiuma da barba per tutta la schiena per poi
ritrovarci a fare la doccia insieme. Ricordammo di quando lo costringevo ad andare al
cinema con me e di quando mi accompagnava a casa e poi tornare alle due di notte dopo
aver camminato per mezzora. Era bello stare lì con lui e sorridere di nuovo per davvero.
Mi accompagnò a casa e ci salutammo come prima: abbracciandoci. La sera seguente era
sotto casa mia. Mi ero vestita in fretta e furia, nemmeno ero truccata. Ero scesa e avevamo
fatto un'altra passeggiata, ma questa volta aveva precisato 'due ore e sei a casa, mezzora è
troppo poco'. Passeggiavamo quasi ogni sera, raccontandoci tutti gli anni che ci eravamo
persi ed era troppi per chiunque. Mi ero persa dieci anni della sua vita e più continuavo a
parlarci e più ero felice di averlo ritrovato. Trascorsero diverse settimane, fino a quando,
una sera, mi baciò.
“Perché non mi amavi?” gli chiesi dopo essermi separata dalle sue labbra.
“Perché non sapevo amare”
“E adesso lo sai? Sai amare?”
“Adesso so che non c'è nulla da sapere. Si ama e basta. Ti bacio e basta.”
Quella sera finimmo a letto insieme ed era stato tanto stancante quanto eccitante.
Eravamo uguali. Stessi movimenti, stessi odori, stessi respiri. Nulla era cambiato. Quello è
stato il culmine del nostro reciproco ritrovarci. Dormimmo insieme e il mattino seguente, il
letto mi sembrava impregnato di felicità. Anche il letto - come noi - si era lasciato amare. Ci
eravamo promessi di rivederci la sera stessa e l'avevamo mantenuta. Non riuscivamo a
saltare neppure una sera senza vederci. Era diventata un'abitudine, era il nostro
appuntamento fisso, anche se pioveva uscivamo e come avevamo sempre fatto, non
portavamo l'ombrello, perché da amanti della pioggia sarebbe stato contraddittorio
ripararsi da qualcosa che si ama. Ritornavamo a casa bagnati dalla testa ai piedi e lo
facevamo fino a essere esausti.
Mia, come me, aveva ricominciato a sorridere e ogni giorno che la vedevo, ero felice per entrambe.




Questa volta non era grazie a Lorenzo se sorrideva, ma grazie a Luca, il ragazzo
di IV E. Nel suo ultimo tema, Mia aveva scritto che non importa con chi o dove,
l'importante è sorridere, ma sorridere davvero, senza mezze misure. L'importante è
lasciarsi amare.
Ieri quando sono tornata a casa, ho ricevuto una lettera.
Alice, io so di averti delusa davvero tanto, che non ti saresti mai aspettata che fossi una
persona del genere. Io vorrei che tu fossi felice, con tutto me stesso, ma non sono stato in
grado di farti star bene. Come ormai è evidente. Io ti voglio bene, anche se non ci credi e
pensi che non mi importi nulla di te. Io ti penso sempre e mi odio per non farti stare come
vorresti. Ma non ci posso fare nulla. Le scuse non servono, però, davvero, io non voglio
perderti. Non odiarmi, Alice. Non farlo, o se vuoi, fallo pure, ma almeno non dimenticarti
nemmeno un nostro giorno insieme. Tienili al sicuro insieme a te. Solo lì potranno vivere
veramente.
Sono trascorsi quasi sei mesi, ma io ti penso, Alice. Io ti penso. Penso a cosa fai, a come
stai, a cosa vuoi.
Scusami per tutto il male.
Scusami Alice.
Ti voglio bene.
G.
Hai ragione, mi hai delusa molto. Davvero troppo, talmente tanto da non accettare per
alcun motivo le tue scuse. Mi pensi sempre? Forse, in questi sei mesi, avresti potuto
scrivermi, perché col pensiero non ci si può incontrare o parlare. Il pensiero è per i
codardi, mentre la parola per gli audaci. Avresti potuto chiedermi come stavo, cosa
facevo e cosa volevo. Nessuno ti impediva di farlo.
Se il tuo timore è essere odiato, non lo sei. Sei soltanto compatito e ti assicuro che è molto
peggio.
Hai ragione, solo lì potranno rivivere davvero i nostri giorni insieme. Ma io gli ho
rispettati da sempre, non solo adesso che non posso più viverli.
Hai torto. Tu mi hai resa felice e lo sai bene, quindi se questa è la tua superficiale e
misera scusa, trovane un'altra più plausibile.
Non vuoi perdermi, ma è quello che hai permesso tu. Hai commesso tu questa tragedia e
adesso, sempre tu, sostieni di non volermi perdere? Perché non ammetti di essere il
drammaturgo della tua tragedia? Solo perché nessuno è morto, non significa che non lo
sia.
Ti risponderò con le tue stesse parole. Non dimenticarti nemmeno un nostro giorno
insieme. Tienili al sicuro insieme a te. Solo lì potranno vivere veramente.
Dovevi lasciarti amare, solo così non mi avresti persa.




PER VOTARE IL RACCONTO, OCCORRE METTERE MI PIACE ALLA RELATIVA FOTO, NEGLI ALBUM DELLE PAGINE FACEBOOK DI "SMARTLIFE" E  "L'AMORE PER I LIBRI". OGNI UTENTE PUO' INSERIRE FINO A DUE VOTI (SI RICORDA CHE VERRANNO CONSIDERATE SOLO LE PREFERENZE DEGLI ISCRITTI ALLE PAGINE).

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