martedì 8 settembre 2015

Economia & Politica: BitGold regala ORO agli iscritti. Ritorneremo al Gold Standard?


E' risaputo come in tempi di crisi, i prezzi dei beni rifugio salgano alle stelle. Sono passati secoli ormai dai tempi del Klondike, ma l'oro continua ad esercitare ancora la medesima attrattiva.



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BitGold quindi è metodo di pagamento, mezzo di investimento e possibilità di guadagno. Nelle righe successive spiegheremo perchè, ma prima vorremmo parlare ancora un po di questo servizio.

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LF

sabato 18 luglio 2015

Vi racconto una storia: Il consumatore - Tonino Capra (Parte 2)


CONCORSO VI RACCONTO UNA STORIA
AUTORE/AUTRICE: T. CAPRA
TITOLO: IL CONSUMATORE

Uccidendo e mangiando il mio amico avevo varcato un confine dal quale non si tornava indietro.
In quel periodo cadevo spesso in trance, in stati di incoscienza. Quando tornavo in me cercavo di
ricordare cosa avessi fatto nel frattempo ma spesso non ci riuscivo. Era buio totale. Sforzandomi
anche riuscivo ad avere solo forti mal di testa. Il cervello cominciava a farmi brutti scherzi. Spesso
mi ritrovavo a camminare in luoghi isolati della città senza capire come vi ero giunto.
In quel periodo sparirono anche alcune persone che frequentavano la mia compagnia e precisamente
tre ragazze di facili costumi, che non furono mai più viste.
Dentro di me cresceva l'inquietudine e io non ne capivo il motivo. Ormai la mia vita trascorreva
quasi completamente nell'incoscienza con brevi e rare parentesi di lucidità mentale.
Intanto la mia vita da disoccupato nullafacente sembrava volgersi al termine: quella sera avrei
sostenuto il colloquio presso un'importante multinazionale nel campo dei succhi di frutta per il
posto di amministratore delegato. Per questo dovevo ringraziare un mio vecchio amico che aveva
sbandierato le mie referenze a destra e a manca in cerca di un impiego per la mia figura elitaria.




Mi presentai per il colloqui alle diciotto nella sede generale. La segretaria, una donna insignificante sui
quaranta mi pregò di attendere il mio turno su una delle sedie in sala d'attesa. Ingannai l'attesa
dando uno sguardo ad una rivista sportiva del mese scorso. Quando l'azionista di maggioranza aprì
la porta per invitarmi all'interno della stanza congedò la segretaria e la rimandò a casa. In sede
eravamo rimasti soltanto io e il mio prossimo datore di lavoro. Lui era un uomo sulla sessantina con
sopracciglia canute e un capello molto rado. Vestiva abiti sartoriali e si sorreggeva su un bastone di
mogano con il manico in avorio finemente lavorato e la punta acuminata. Mi invitò a sedermi
davanti alla sua scrivania. Prese in mano il mio curriculum e iniziò a scorrerlo con gli occhi.Ogni
tanto leggeva la fine del rigo ad alta voce ed annuiva. Alla fine si alzò in piedi,lasciando il bastone
appoggiato alla scrivania di noce e andò davanti al fuoco scoppiettante. Mi rivolgeva le spalle.
Cominciò a parlarmi con un tono da finto dispiaciuto. Mi spiegò che il loro marchio significava
molte cose e dava alla gente una sorta di rassicurazione. Molte mamme e bambini acquistavano le
loro bevande alla frutta. Di conseguenza gli alti dirigenti dell'azienda avrebbero dovuto rispecchiare
questo tipo di affidabilità. L'assunzione di gente chiacchierata avrebbe nuociuto al brand. A quel
punto mi chiese se tutte le voci che circolavano nel bel mondo sulle mie abitudini e sulla mia vita
privata fossero vere. Io tacqui; non sapevo cosa rispondere e soprattutto non riuscivo a capire a quel
punto a cosa fosse servito il colloquio se la sua decisione era stata questa fin dall'inizio. Il capo
parve leggere il significato del mio silenzio e rispose con aria acida dicendo che aveva un debito
personale con quel mio amico che ci aveva fatti incontrare e non aveva voluto deluderlo. Così aveva
deciso di concedermi il colloquio.
A quel punto la rabbia mi invase. L'uomo si girò verso di me. Io in uno scatto di ira presi il bastone,
mi alzai e mi scaraventai verso quell'uomo. Gli piantai il suo stesso bastone sotto lo sterno e le sue
grida ruppero il silenzio che permeava all'interno della sede. Il malcapitato si accasciò su se stesso e
finì con un braccio nel camino, a contatto con il fuoco. Io con la massima tranquillità mi diressi
nuovamente verso la scrivania che fino ad una manciata di minuti prima apparteneva all'uomo ora
deceduto e mi sistemai sulla sua sedia. Mi versai un bicchiere i brandy e poi un altro, e poi un altro
ancora. Vuotai quello che rimaneva della sua bottiglia. A quel punto tornai nuovamente vicino al
cadavere.
Cinque minuti dopo, una decina di poliziotti o forse più fecero irruzione nell'ufficio, allertati da un
vicino che aveva sentito un urlo ed assistettero ad una scena agghiacciante: un uomo seduto sul
tappeto davanti al fuoco staccava pezzi di carne dal braccio bruciacchiato del vecchio proprietario
dell'ufficio; quell'uomo ero io. Dopo avermi ammanettato mi portarono in caserma e mi destinarono
ad una cella provvisoria. Dovevo condividere quella cella con un altro uomo nell'attesa che
venissero sbrigate le pratiche per il mio fermo. Mi spiegarono che molto probabilmente sarei finito
in una casa di cura per l'igiene mentale. Quando mi condussero in cella il secondo galeotto era
immerso in un sonno profondo. Il cigolio rumoroso della porta però lo ridestò in fretta.
Quando i poliziotti mi abbandonarono nella mia nuova dimora temporanea il mio compagno
cominciò a tartassarmi di domande su come mi chiamavo, da dove venivo, per quale reato ero stato
imprigionato...Alla lunga iniziava a diventare fastidioso. Dovevo trovare un modo per farlo tacere...
Quando la mattina un poliziotto aprì la porta per portare la colazione vide una scena da incubo;
trovò me disteso sulla mia branda tutto coperto di sangue; distesi per terra cerano i resti di un corpo
reso irriconoscibile dal sangue e dalle mutilazioni subite; era il mio compagno di cella.Il secondino
alla vista di quello sfracello scappò di corsa a chiamare i suoi superiori.
Un paio di ore dopo mi trovavo davanti ad una commissione composta da uomini di legge e gente di
medicina che sospettavo essere psichiatri. Esposi senza fronzoli e senza mentire tutti i fatti che ho
riportato in queste pagine. Ho parlato anche delle motivazioni che mi hanno portato a comportarmi
in questo modo; del fatto che non ho mai ucciso per cibarmi delle carni della vittima ma sempre per
rabbia e come il mio cannibalismo fosse sempre stato una conseguenza e mai una causa dei miei
delitti. Avevo ucciso il mio amico durante una colluttazione. Il mio secondo delitto derivava da uno
scatto di rabbia. Il terzo uomo non la piantava mai di parlare!In nessun caso avevo ucciso
premeditando l'uso che avrei fatto in seguito del corpo. Il primo cadavere mi servì per sopravvivere
sull'isola; nell'ufficio della seconda vittima dovevate sentire che odore di arrosto che c'era!Nel terzo
caso non so nemmeno io il motivo certo della mia azione; probabilmente ero tentato dal provare
quel rischio in barba alla legge ed ai poliziotti che mi tenevano in custodia.
Nel corso della conversazione ribadii più volte fermamente la mia completa estraneità alla
sparizione delle tre ragazze che frequentavano il mio stesso locale ma sono convinto che queste mie
parole non trovarono credito.
Mi imputeranno sei omicidi oltre alla mia completa incapacità mentale.




Ho deciso di affidare la memoria di questi avvicendamenti alla carta per evitare di rimanere
incompreso. Probabilmente mi troverò presto a marcire tra le mura di qualche manicomio, drogato
da mattina a sera con sostanze che ti rimbambiscono. Nel giro di qualche settimana non ricorderò
nemmeno chi sono. Voglio però convincere chiunque leggerà le mie parole che non ho mai ucciso
per volontà mia ma sempre in preda a qualche demone che con il tempo si è impossessato della mia
mente e del mio corpo.Io non sono quello che uccide ma solo quello che mangia. E cosa ho fatto di
male allora?Cosa c'è di male ad amare la carne umana?C'è chi predilige il maiale o il vitello. Io amo
questa qualità; sono solo gusti. Volevo anche informarmi che da quando sono detenuto sono sparite
altre due ragazze che frequentavano le mie compagnie. Ora almeno ho un alibi. Come vedete non
sono pazzo; ho solo permesso al demone della rabbia di controllarmi. Vi prego non giudicatemi
male.




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Vi racconto una storia: Angelica - Valentina Florio (Parte 2)


CONCORSO VI RACCONTO UNA STORIA
AUTORE/AUTRICE: V. FLORIO
TITOLO: ANGELICA

Angelica non c'era più. Sparita per sempre, volata in cielo
accanto a Dio, o chissà dove. Il cameriere arrivò col caffè ma io ero già andato via. Il mio stomaco era ormai chiuso, come il mio cuore. La felicità sognata, desiderata, e ritrovata, era durata solo pochi attimi, era volata via di nuovo. Vagai per le strade tutta la notte, come un bambino che aveva smarrito la via di casa.




Esausto, andai a dormire. Sognai Angelica. Mi parlava ma non riuscivo a capirla, muoveva le labbra e mi chiamava a sé, era bellissima come nella foto, anzi di più. Prese la mia mano e camminammo per ore lungo la riva del mare. Vedevo in lontananza la mia casa, la mia città. Volti ora sconosciuti ci passavano davanti, ci osservavano ma per noi non esistevano; c'eravamo solo io e lei. Eravamo felici, e non avevamo bisogno di altro.




Mi svegliai che era giorno ormai da tante ore. Ero stranamente molto felice, come non lo ero da tanto. La foto di Angelica era accanto a me. La presi tra le mani, la baciai, lei mi sorrise, io ricambiai. Era con me, quello importava. Avevo il mio angelo, la mia Angelica; lei era con me, ogni giorno. Il mio era un amore puro e folle; avevo lei, avevo tutto. Avevo la sua foto, il suo amore; non avevo bisogno d'altro. Amavo Angelica e l'amo ancora, e sarà così per sempre.




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Vi racconto una storia: Brilla brilla la luna in ciel - Roberta Damiano (Parte 2)


CONCORSO VI RACCONTO UNA STORIA
AUTORE/AUTRICE: R. DAMIANO
TITOLO: BRILLA BRILLA LA LUNA IN CIEL

Rimase delle ore nella camera virtuale, così tante, che perse la cognizione del tempo. In quel momento Stars era anche riuscita a dimenticarsi delle domande che si era posta, ma una volta che aveva completato i giochi la noia aveva prevalso nuovamente. Spense la camera virtuale e uscì a
cercare i suoi genitori, che non erano più in casa. Andò in cucina, bevve un viscido sorso d’acqua e
salì in camera, si stese sul morbido tappeto e s’immerse nel suo piccolo mondo verde.
Dopo poco, la smania di uscire era talmente forte che Stars non ce la fece più. Preparò il suo
zainetto e lo mise in spalla. Scese le scale e corse fino alla porta, l’aprì ed entrò all’interno della
camera di disinfezione. La porta le si chiuse alle spalle automaticamente e subito dopo, dai buchi
del soffitto, delle pareti e dal pavimento, venne spruzzata una grande quantità di prodotto volatile sul
corpo di Stars che la fece tossire e lacrimare gli occhi. Accadde tutto in pochissimi secondi.
Terminata disinfezione, la porta dinnanzi a lei, che affacciava al mondo che non aveva mai visto, si
aprì.




Con il cuore in gola per l’euforia si sistemò lo zainetto e corse fuori, non rendendosi conto che la
realtà era ben diversa da quella descritta dai libri.
Di colpo, Stars venne invasa dalla fitta nebbia grigia, quasi nera, che nascondeva le forme della già
oscura città.
Dov’era il sole?
Forse era notte? Allora, perché non c’era la luna ad illuminare il cielo? E le stelle?
Stars alzò gli occhi e non vide nulla oltre la punta del suo naso.
Che fine aveva fatto il cielo?
Presa dalla paura tentò di rientrare in casa, ma non vide più la porta.
Perse, così, il senso dell’orientamento.
Stars cominciò ad urlare aiuto, ma la nebbia sembrava inghiottire la sua voce. Terrorizzata cominciò
a correre senza una meta e senza vedere ciò che la circondava.
Nei libri si parlava di distese di prati verdi, ma lì non c’era verde, solo una strada nera come la pece.
Nei libri si parlava di alti alberi secolari, robusti, pieni di foglie, frutti e fiori, ma in quella città
l’unica cosa alta erano i palazzi incolori.
Nei libri si parlava degli animali, ma mentre Stars correva non sentiva cinguettare, abbaiare,
squittire o ruggire, le sue orecchie erano invase da strani e assordanti rumori di grossi macchinari da
lavoro.




Nei libri si parlava dei meravigliosi e vasti odori che la natura aveva creato, ma quando Stars dilatò
le narici per inspirare, quasi le mancò il respiro per il fetore nauseabondo che aveva l’aria.
Stars corse, corse e corse fino a quando non dovette fermarsi per mancanza di respiro. Tastò con le
mani le fredde e viscide mura e si acquattò in un angolo con le gambe strette al corpo. Iniziò a
piangere e a chiedere aiuto fino a quando la gola non le fece male. Si dondolò per allontanare la
paura e chiuse forte gli occhi per non vedere i giochi d’ombre che si formavano tra la nebbia.
Pianse fino a non avere più lacrime da versare. I rumori della città l’assalirono prendendosi gioco
delle sue orecchie e Stars, per non ascoltare, cominciò a cantare ad alta voce e di buona lena la
ninna nanna che le aveva sempre sussurrato la nonna.


Brilla brilla la luna in ciel
e le stelline giocano insiem.
Bimba bella fai la nanna,
il sole presto si sveglia all’alba.
Anche i fiori dormon con te
sussurrando al vento questa dolce canzon.
Anche gli animali ascoltano il suon,
dormendo beati sotto questo manto d’or.
Brilla brilla la luna in ciel
e le stelline giocano insiem.
Bimba bella fai la nanna,
il sole presto si sveglia all’alba.
Quando tu crescerai, questa canzone canterai.
Brilla brilla la luna in ciel
e le stelline giocano insiem.
Bimba bella fai la nanna,
il sole presto si sveglia all’alba.

E cantò, cantò, cantò fino a quando non sentì cessare quegli orribili rumori.
L’aria pian piano cominciò a diventare pesante e Stars trovò profondamente difficile continuare a
respirare. Il petto le faceva male, sembrava avere delle lame dentro che tentavano di aprirle la pelle
per venir fuori. Il fiato si fece sempre meno intenso e gli occhi cominciarono a scurirsi sempre di
più fino al punto di non vedere neppure la coltre di nube.
Stars non seppe per quanto tempo rimase incosciente, ma l’incessante scuotimento la ridestò da
quello strano sonno. Quando aprì gli occhi venne presa in braccio da strane sagome. Tentò in tutti i
modi di liberarsi e gridò
«Stars, figliola, siamo i tuoi genitori. Siamo così felici di averti ritrovato.»
Venne abbracciata e poi rimproverata.
Pian piano le sagome cominciarono a prendere forma, così come tutto ciò che la circondava. Adesso
riusciva di nuovo a respirare. Tardi si accorse che era grazie ad un casco che le avevano messo i
genitori.
Stars era ancora tramortita per poter parlare, ma capì che il mondo in cui viveva lei non aveva nulla
a che vedere con le meraviglie dei racconti.
Non appena cominciarono a muovere i primi passi una gocciolina umida e fredda bagnò la mano di
Stars. Tutti e tre alzarono lo sguardo in alto e lacrime iniziarono a cadere oltre la nube.
Che il cielo stesse piangendo?, si domandò la piccola Stars.
I genitori, stupefatti, corsero insieme alla figlia ed urlarono a tutti gli abitanti di venir fuori.
Pioveva. Pioveva!
Tutti accorsero alle urla della famiglia e anziani, adulti e piccini uscirono per assistere allo
spettacolo della natura che da tempo immemore si era assopito.
Nei cuori delle persone finalmente ritornò la gioia.
Più in là, in una piccola via, tra le crepe del nero asfalto, sbocciò il primo fiore.
Forse per Stars e per il piccolo mondo c’era ancora una speranza…
«FINE!»

La maestra terminò di leggere il racconto, chiuse il libro e guardò i suoi alunni.
«Allora bambini, che ne pensate di questa storia?»
«Maestra? Io non voglio vivere nella città di Stars» disse un bambino.
«Piccolo mio, credo che nessuno voglia vivere in quella città, ma se non si rispetta la natura
potrebbe accadere anche a noi» rispose la maestra.
«Maestra?» alzò la mano un’alunna.
«Dimmi Carlotta.»
«Come facciamo a rispettare la natura?»
«Questa sì che è una bella domanda. Ho qui, per voi, un racconto che ne parla. Lo volete
ascoltare?»
Un sì di gruppo echeggiò per la stanza.

La maestra ripose il libro che aveva letto e ne prese un altro.




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Vi racconto una storia: Lasciarsi amare - Alice Semioli (Parte 2)


CONCORSO VI RACCONTO UNA STORIA
AUTORE/AUTRICE: A. SEMIOLI
TITOLO: LASCIARSI AMARE

Trascorsero altri due mesi senza di Lui e ancora non avevo realizzato di essere rimasta da
sola per davvero. Non un messaggio, non una telefonata. L'avevo anche chiamato: avevo parlato con la sua voce registrata e apatica della segreteria telefonica per dirGli che era uscito l'ultimo film di Sorrentino al cinema. Una telefonata del tutto inutile, una palese scusa per sentirlo siccome Lo sapeva meglio di chiunque che quel film era proiettato nelle
sale cinematografiche. Non rispose, come da programma. Mi inventavo le scuse più disparate per incontrarlo, ma nonostante cercassi di ingannare il caso, il destino ne usciva
sempre vincitore. Sono andata al cinema. Da sola. Mi guardavo attorno nella speranza di trovarlo lì e aver riservato un posto per me accanto al suo. Non trovai lui, al cinema. Trovai il figlio della mia insegnante. Si era seduto proprio di fianco a me. Mi aveva riconosciuto.
Ero certa che si fosse seduto vicino a me proprio per quello. Era tremendamente bello,
anche più di quando aveva diciott'anni. Mi era capitato di incrociarlo qualche anno fa
vicino a casa mia, ma lui non mi aveva vista.
Ci siamo voltati l'uno verso l'altra per guardarci bene, per essere sicuri che fossimo rimasti
sempre gli stessi, nonostante il tempo trascorso in assenza l'uno dell'altra. Ci siamo sorrisi,
non per imbarazzo, ma per felicità. Non ci siamo detti nemmeno una parola, ci siamo
soltanto abbracciati. Non volevo distruggere quel momento con parole inadeguate o
superficiali, ho preferito affidare tutto a un gesto e al silenzio. Ero sicura che così non avrei
potuto sbagliare nulla. Potevo morirci o viverci nel calore di quella stretta di corpo e d'
anime. Non ricevevo un abbraccio simile da quanto?! Quattro mesi? Forse non ricevevo un
abbraccio come quello da molto più tempo, forse addirittura dieci anni.




Chissà se Lui mi aveva mai abbracciata davvero.
“Sei cambiata. Sei più bella”
“Anche tu, vecchio mio.”
Per due ore era l'unica cosa che eravamo riusciti a dirci. Eravamo entrambi estremamente
concentrati sul film, o almeno, così sembrava. Uscita dal cinema, ero confusa: non capivo
se ero rimasta stupita dal finale o dall'incontro.
Mi chiese di fare una passeggiata insieme, mi aveva detto 'una mezzora e sei a casa'. Erano
trascorse altre due ore e io non avvertivo lo scorrere del tempo, che da quattro mesi a
questa parte era diventato il mio nemico più acerrimo. Mi parlò dei suoi studi, del lavoro
da insegnante. Chiacchierando, avevamo riesumato numerosi ricordi che erano finiti quasi
del tutto nel dimenticatoio, ma che, a quanto pare, lui ricordava molto meglio di me.
Ricordammo di quando la madre doveva tornare a casa e io mi rivestivo a metà e scappavo
sul pianerottolo del piano superiore per non incontrarla sulle scale oppure di quando, dopo
aver fatto l'amore, mi aveva riempita di schiuma da barba per tutta la schiena per poi
ritrovarci a fare la doccia insieme. Ricordammo di quando lo costringevo ad andare al
cinema con me e di quando mi accompagnava a casa e poi tornare alle due di notte dopo
aver camminato per mezzora. Era bello stare lì con lui e sorridere di nuovo per davvero.
Mi accompagnò a casa e ci salutammo come prima: abbracciandoci. La sera seguente era
sotto casa mia. Mi ero vestita in fretta e furia, nemmeno ero truccata. Ero scesa e avevamo
fatto un'altra passeggiata, ma questa volta aveva precisato 'due ore e sei a casa, mezzora è
troppo poco'. Passeggiavamo quasi ogni sera, raccontandoci tutti gli anni che ci eravamo
persi ed era troppi per chiunque. Mi ero persa dieci anni della sua vita e più continuavo a
parlarci e più ero felice di averlo ritrovato. Trascorsero diverse settimane, fino a quando,
una sera, mi baciò.
“Perché non mi amavi?” gli chiesi dopo essermi separata dalle sue labbra.
“Perché non sapevo amare”
“E adesso lo sai? Sai amare?”
“Adesso so che non c'è nulla da sapere. Si ama e basta. Ti bacio e basta.”
Quella sera finimmo a letto insieme ed era stato tanto stancante quanto eccitante.
Eravamo uguali. Stessi movimenti, stessi odori, stessi respiri. Nulla era cambiato. Quello è
stato il culmine del nostro reciproco ritrovarci. Dormimmo insieme e il mattino seguente, il
letto mi sembrava impregnato di felicità. Anche il letto - come noi - si era lasciato amare. Ci
eravamo promessi di rivederci la sera stessa e l'avevamo mantenuta. Non riuscivamo a
saltare neppure una sera senza vederci. Era diventata un'abitudine, era il nostro
appuntamento fisso, anche se pioveva uscivamo e come avevamo sempre fatto, non
portavamo l'ombrello, perché da amanti della pioggia sarebbe stato contraddittorio
ripararsi da qualcosa che si ama. Ritornavamo a casa bagnati dalla testa ai piedi e lo
facevamo fino a essere esausti.
Mia, come me, aveva ricominciato a sorridere e ogni giorno che la vedevo, ero felice per entrambe.




Questa volta non era grazie a Lorenzo se sorrideva, ma grazie a Luca, il ragazzo
di IV E. Nel suo ultimo tema, Mia aveva scritto che non importa con chi o dove,
l'importante è sorridere, ma sorridere davvero, senza mezze misure. L'importante è
lasciarsi amare.
Ieri quando sono tornata a casa, ho ricevuto una lettera.
Alice, io so di averti delusa davvero tanto, che non ti saresti mai aspettata che fossi una
persona del genere. Io vorrei che tu fossi felice, con tutto me stesso, ma non sono stato in
grado di farti star bene. Come ormai è evidente. Io ti voglio bene, anche se non ci credi e
pensi che non mi importi nulla di te. Io ti penso sempre e mi odio per non farti stare come
vorresti. Ma non ci posso fare nulla. Le scuse non servono, però, davvero, io non voglio
perderti. Non odiarmi, Alice. Non farlo, o se vuoi, fallo pure, ma almeno non dimenticarti
nemmeno un nostro giorno insieme. Tienili al sicuro insieme a te. Solo lì potranno vivere
veramente.
Sono trascorsi quasi sei mesi, ma io ti penso, Alice. Io ti penso. Penso a cosa fai, a come
stai, a cosa vuoi.
Scusami per tutto il male.
Scusami Alice.
Ti voglio bene.
G.
Hai ragione, mi hai delusa molto. Davvero troppo, talmente tanto da non accettare per
alcun motivo le tue scuse. Mi pensi sempre? Forse, in questi sei mesi, avresti potuto
scrivermi, perché col pensiero non ci si può incontrare o parlare. Il pensiero è per i
codardi, mentre la parola per gli audaci. Avresti potuto chiedermi come stavo, cosa
facevo e cosa volevo. Nessuno ti impediva di farlo.
Se il tuo timore è essere odiato, non lo sei. Sei soltanto compatito e ti assicuro che è molto
peggio.
Hai ragione, solo lì potranno rivivere davvero i nostri giorni insieme. Ma io gli ho
rispettati da sempre, non solo adesso che non posso più viverli.
Hai torto. Tu mi hai resa felice e lo sai bene, quindi se questa è la tua superficiale e
misera scusa, trovane un'altra più plausibile.
Non vuoi perdermi, ma è quello che hai permesso tu. Hai commesso tu questa tragedia e
adesso, sempre tu, sostieni di non volermi perdere? Perché non ammetti di essere il
drammaturgo della tua tragedia? Solo perché nessuno è morto, non significa che non lo
sia.
Ti risponderò con le tue stesse parole. Non dimenticarti nemmeno un nostro giorno
insieme. Tienili al sicuro insieme a te. Solo lì potranno vivere veramente.
Dovevi lasciarti amare, solo così non mi avresti persa.




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Vi racconto una storia: Rinascita - Angela Martelli (Parte 2)


CONCORSO VI RACCONTO UNA STORIA
AUTORE/AUTRICE: A. MARTELLI
TITOLO: RINASCITA

La signora porta in tavola dei dolcetti e del liquore di rosa canina.
L’uomo tatuato prende la bottiglia e versa il liquore ai ragazzi, poi si rivolge a Marisa: “Oggi mi hai
chiesto se ero marinaio; ora vi voglio raccontare la storia di questo tatuaggio. Mi chiamo Albert e come
sapete sono tedesco e sono un chimico. Appena laureato mi offrirono un lavoro in una fabbrica di armi.
Si guadagnava molto bene e in breve tempo entrai a far parte dello staff dirigenziale; una posizione
molto ambita ed io ne ero orgoglioso. Poi un maledetto giorno il telegiornale trasmise una tragica
notizia: Fabris, il mio migliore amico, un fotografo, era andato nelle zone di guerra per un reportage.
Una mina finita sotto i suoi piedi lo dilaniò … era una mina prodotta dalla mia fabbrica!
Potete immaginare il dramma; anch’io mi sentii dilaniato nel cuore, nella coscienza, nella mente e
nell’anima. Un dolore che non riuscirò mai a descrivere, perché sembrava incendiare ogni lembo della
mia pelle. Davanti alla bara di Fabris mi inginocchiai e gli promisi che non avrei messo mai più piede
in quella maledetta fabbrica ...”
Tirò un grosso sospiro e continuò.




“Ma non volevo neanche più vivere in quella nazione; insieme a Fabris era morta anche una parte di
me. L’idea di trasferirci qui è stata di mia moglie; lei conosce questi posti perché da bambina veniva
spesso in Toscana con i suoi genitori. Ci siamo messi alla ricerca e alla fine abbiamo trovato questo
posto. Lei mi ha aiutato molto e ha fatto sì che riprendessi questo affascinante quanto difficile cammino
della vita, ed è per questo che ho voluto farmi tatuare la rosa dei venti sul cuore … perché mai più
possa sbagliare rotta su questo mare della vita; desidero che i venti mi spingano verso scelte di
speranza. Voglio vivere con i prodotti della natura e scoprire quante risorse ci sono in essa e poi
accogliere chi ha bisogno di fare una sosta per fare una revisione della vita per poi ripartire e continuare
il suo viaggio con un bagaglio ricco di valori, ma quei valori veri, considerare il denaro un mezzo, ma
mai l’obiettivo primario per la propria felicità … mai e poi mai! Voi ragazzi siete giovani, non potete
certo cambiare il mondo, ma il cuore, quello sì.”
Cala il silenzio, nessuno ha più voglia di parlare e uno ad uno si scambiano la buona notte e decidono
per l’indomani; tutti sono d’accordo per le terme di Saturnia.
Marisa non ha voglia di dormire e si sdraia nell’amaca. I due cagnolini giocano rincorrendosi nel
giardino. Lei assorta in mille pensieri guarda il cielo. A quella vista il cuore le sussulta: “Non ho mai
visto un cielo così stellato”.
Il canto dei grilli ed il gracidare delle rane le procurano uno stato di pace, tanto da farla addormentare.
All’alba si sveglia nell’amaca con ai piedi i due cuccioli che dormivano beatamente. “E’ incredibile, ho
dormito all’aperto e per di più con due cagnolini”. Il suo pensiero va a Claudio e si sente in colpa per
averlo abbandonato così.




Lo chiama al telefono: “Buongiorno amore …”.
“Cosa vuoi adesso … e non prendermi in giro”.
“Ascoltami Claudio, perdonami; mi sono comportata malissimo, ma credo che certe cose non accadano
per caso. Questo luogo di pace mi ha fatto riflettere sui valori che contano veramente nel viaggio della
vita. Ho conosciuto persone straordinarie, che hanno fatto vibrare le corde della mia anima. Se riesci a
perdonarmi ti aspetto qui. Porta anche Orazio".
“Uhm, sei davvero cambiata … non l’hai mai chiamato con il suo nome …” la interrompe Claudio.
“Si hai ragione, la crisalide si sta trasformando il farfalla, ma io voglio volare insieme a te … ti aspetto
amore.”




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Vi racconto una storia: Un amore mai finito - Luciana Duca (Parte 2)


CONCORSO VI RACCONTO UNA STORIA
AUTORE/AUTRICE: L. DUCA
TITOLO: UN AMORE MAI FINITO

Una mattina Eveline si alzò, come tutte le altre mattine, più triste che mai, andò diretta dalla
sua mamma e le chiese il favore di poter far venire Christian ad abitare sopra casa loro, perché
la sua famiglia aveva un altro grande appartamento sopra la loro casa. Giù vivevano loro
mentre su era disabitato, allora si diresse verso la mamma, e subito dopo il padre le venne
incontrò chiedendole il perché Christian non stesse più vedendo, se fosse successo qualcosa
alla loro storia. Eveline sorrise e disse: “Padre, cosa potrebbe mai capitare a noi? Lo sai bene
quanto ci amiamo, lo sai vero? il padre sorridendole anche lui con estrema calma e pazienza le
disse di saperlo per quanto troppo tempo aveva penato per loro, ma si accorse che la propria
figlia in quel momento stava soffrendo terribilmente. Eveline non voleva più parlarne, si sentì
imbarazzata per quello che stava succedendo, ma se non l’avesse detto in quell’ istante non
l’avrebbe mai più rivisto. “ Papà, devo dirti una cosa. Non ha più un lavoro, non può riparare la
sua macchina perché la mancanza di denaro non può permettere questo, tu sai bene cosa vuol
dire rimanere soli senza che nessuno ti aiuti, senza nessun riparo e senza il mio amore” il padre
aveva già capito tutto, infatti voleva parlare con lei proprio per questo motivo, non c’era
bisogno che glielo dicesse, perché era proprio il padre che lo volle ospitare a casa loro. Tutto
stava andando bene, ogni mattina lui si alzava andando da lei portandole la colazione con una
rosa e dopo andava ad aiutare Salvador nella loro campagna, lei invece andava a scuola e
quando ritornava sapeva di trovare lui in quella casa, quindi si sentì amata e protetta in tutti i
sensi, ma soprattutto si sentiva più vicina che mai, come avrebbe voluto sempre stare Eveline.
Ma forse quella armonia che aspirava il loro amore non avrebbe mai permesso loro di
rimanere cosi gioiosi per sempre. Una chiamata aveva bloccato tutto quanto, forse da una
parte era un bene ma dall’altra è stata la condanna più atroce che avrebbe concluso la storia.
La partenza di Christian per Roma era vicina, lo zio aveva chiamato per dire di andare a
lavorare fuori perché cosi non avrebbe mai potuto dare ad Eveline un futuro migliore e quante
volte anche Eveline si è sentita dire che lui doveva partire per avere una vita migliore,ma lei
cosa se ne importava di questo, sapeva bene che il loro amore sarebbe bastato, ma le
malelingue hanno sempre contribuito alla loro rovina. Era il momento di andare via da quel
paese, da quella casa, da lei … Eveline non voleva che partisse, pianse e pianse ma niente era
cambiato, allora si convinse che doveva farlo almeno per lui, per la sua dignità per il proprio
uomo. Dal momento del distacco si lasciarono con le loro dolci e fragile parole, tutto quello che
gli restava era questo, con una lacrima ai loro occhi, e una lettera che lui le scrisse prima di
partire, diceva proprio cosi: “ Amore mio, quando leggerai queste parole io non ci sarò ma
ricordati che ti amo e sei sempre nei miei pensieri , tu sei la mia vita e lo sai te lo detto sempre io
faccio tutto per te ti amo e ti amerò per sempre perché sono innamorato di te e son troppo legato
a te, io per te darei la vita, amore mio ricordati di essere sempre onestà e la vita ti sorriderà.
Purtroppo non ho più tempo devo andare, queste parole sono state scritte alle 15:10, quindi ora
vado TI AMO TANTO e stai tranquilla che tornerò da te.
Il tuo Amore Christian.




Da allora aveva capito cosa fosse la vera sofferenza e il vero amore. I giorni passavano, ma
passavano così come stava passando la propria vita, piena di angoscia e il tempo che non
passava mai, Eveline non vedeva l’ora che il giorno arrivasse per poterlo abbracciare e
stringerlo per non lasciarlo mai e cosi fu, lo rivide dopo erano passati due mesi, così poco ma
per lei erano passati anni ed anni. I giorni passati insieme correvano velocemente, tutto ciò
che era bello e immenso andò via come in un lampo. Christian doveva di nuovo ripartire, quel
maledetto giorno fu la loro rovina, lei aveva paura che andando cosi lontano per molto tempo
il loro amore poteva con il tempo sgretolarsi, e cosi fu. Quando lui andò via lei si sentì un gran
vuoto nonostante l’amore per lui, e quel vuoto fu colmato da un altro uomo. Eveline si stava
auto convincendo che oramai non provava niente per Christian, cosi immatura, cosi bambina,
si era affezionata a questo uomo ma era solo una semplice infatuazione, che lei immaginava
come un grande amore per codesto uomo, i genitori di lei avevano capito che non provava
niente per Christian e che si era innamorata di un altro uomo. Sua madre arrabbiata
costringeva la figlia a tornare con Christian perché sapeva di quanto lui fosse bravo e quanto
lui potesse amare solo lei. La gente ne parlava, spettegolava per questa storia e i genitori di
Eveline stavano perdendo la reputazione. Christian prese il primo treno e scese per lei, per
dirle quanto l’amasse e che nel suo cuore esisteva solo lei, nonostante sapesse che Eveline
l’aveva tradito, lui andò da lei piangendo, implorando il suo amore ma niente le fece cambiare
idea. Il padre disse di lasciar perdere perché era solo una ragazza che ancora non aveva capito
cosa voleva realmente, ma Christian non le diede tregua, andando in ginocchio davanti ai piedi
di lei le portò tutte le rose che questo mondo poteva permettersene, Eveline costretta dalla
madre tornò con lui, lo sbaglio più grande che avrebbe potuto fare, lei non sentiva niente per
lui. Ma quella ragazza come avrebbe fatto a rimanere con lui, se non l’amava? Infatti lo lasciò
di nuovo. Eveline voleva lasciare il passato dietro alle sue spalle, la depressione di sua madre, i
problemi in casa e Christian. Ma tutto questo fu un errore perché non è cosi che si vuole
davvero, lasciando il passato. Christian amava lei più della sua vita, le andò sempre dietro
regalandole il mondo intero, ma lei non riusciva più a sentire niente, quella lontananza è stato
l’inizio della rottura della loro storia d’amore. Lui smise di cercarla si allontanò il più
possibile da lei, ma il 18° compleanno di Eveline era vicino, si presentò lui , con il suo ultimo
mazzo di 18 rose, Eveline rimase sbalordita del suo affetto, nonostante lei l’avesse fatto
soffrire molte volte. Fu cosi che quel mazzo aveva fatto capire a Eveline quello che realmente
provava e che da un po’ di tempo aveva già capito, ma lo stava solo nascondendo a lei stessa.
Lasciò tutto, tutto quello che aveva, quel ragazzo di cui si era infatuata, lasciò i suoi anni da
bambina e cominciò a riflettere sulla vera vita, cosa lei volesse. Amava Christian, ma forse era
troppo tardi per dimostrargli il suo amore. Lui andò via da lei perché sapeva benissimo che
niente era più come prima e che lei non si sarebbe mai proclamata a lui, aveva già da molto
combattuto e questa volta aveva deciso di cambiare davvero pagina. Quei giorni passavano
velocemente e lei continuava a sentire tutti i sensi di rimorsi che le erano rimasti, non le era
che rimasto dolore e angoscia ma un giorno il destino li avrebbe fatti riunire ma troppo poco
tempo le avevano concesso, il tempo che poteva straziare ancora una volta il suo cuore debole.
Eveline aveva insistito a poter provare un’altra volta, lei sarebbe cambiata, tutte quelle volte
che avevano un rapporto lei si preoccupò pensando che adesso sarebbe stato lui a vendicarsi e
a usarla costantemente. “Christian, io voglio sapere cosa tu provi davvero se mi stai solo usando
dimmelo adesso perché io non sono la tua bambola nonostante io ti ama davvero, ti prego non
rovinare tutto ora…” lui rispose “ Eveline, io voglio provare con te davvero questa volta, puoi
fidarti di me e lo sai quanto io tenga a te” il suo comportamento era alquanto strano ma lei
presa dall’amore e da quelle parole che aspettava da tempo non dubitò di lui. Quella settimana
il rapporto che stavano avendo era diverso da quello che era, ogni momento lei diceva di
amarlo e non si stancava di dirlo, lo guardava dritto negli occhi questa volta perché questa
volta lo sentiva davvero, lui le diceva solamente che le voleva bene, Eveline non si preoccupò
di questo perché con il tempo l’avrebbe amata come la prima volta. Adesso erano li insieme
ad uscire di nuovo, andavano nei bar, locali al mare e tutto sembrò perfetto, lei era davvero
felice come non lo era mai stata da tempo, sentiva di nuovo quella sensazione di amore come
la prima volta che si sono conosciuti e se la ricordò per davvero, tutto ciò era un sogno,
finalmente era felice, a volte cominciava a tremare di paura perché lei era fatta per soffrire e
questo la insospettiva, aveva paura che la troppa felicità in quei momenti poteva durare solo
per poco che non era che un’ illusione; e la sorte aveva deciso questo per lei, la sorte la stava
punendo e lei era pronta a scontare i suoi errori … L’ultimo suo ricordo le ultime sue parole se
le ricordò a vita, il ventidue Giugno quella notte era stata l’ultima per lei. Seduti nel bar a bere
qualcosa, lei gli disse cosi felice ed emozionata “ Ti Amo” lui rispose con questo “Oh si basta,
non ripetermelo sempre che cosi mi stanca” da quelle parole i suoi occhi erano diventati lucidi e
vuoti, aveva capito che lui non provava niente e non valeva la pena restare con lui come se lo
stesse obbligando, e lei questo non lo voleva perché il sentimento doveva uscire libero dal suo
cuore. Da quel giorno si diviserò di nuovo, ogni giorno Eveline si ripeteva che forse era stato
meglio continuare a far finta che lui non l’amasse e a rimanere cosi, almeno lo avrebbe tenuto
vicino ma cosa ne avrebbe ottenuto da questo? L’amore lo provò solo con lui e con lui se ne era
andato, non poteva più provare niente per nessuno si sentì già sepolta viva. Era inutile lottare
fino all’ultimo respiro, non lottava perché sapeva che non aveva niente da raggiungere e ormai
aveva perduto tutto quello che più contava. Lei lo aveva amato con tutta l’anima, ci ha provato
davvero a toglierselo dalla mente, pensava che con il tempo l’avrebbe dimenticato ma sentiva
che ogni giorno di più l’amava. Ogni loro sguardo terminò in uno scontro e lei iniziò a pensare
che si era sbagliata, ogni volta che discuteva con lui soffriva, soffriva moltissimo e questo
dolore le restò nella mente per dei giorni. Invece di dimenticarlo pensava a un modo per
potersi avvicinarsi a lui. Ogni notte quegli incubi, quei rimorsi perseguitavano Eveline come se
non avesse più scampo da Christian, allora decise di incominciare a bere per dimenticare ma
quei sorsi erano la sua condanna a morte perché non avrebbero fatto che aumentare di più i
suoi ricordi. Una notte tornò davvero ubriaca e decise di chiamarlo con l’anonimo, era tardi
forse le tre e mezza ma non se ne poteva importare dell’orario lei avrebbe voluto sentire la sua
voce e chiederli perdono e qualcosa altro, Christian rispose e disse “ Pronto, chi è?” in quel
momento Eveline aveva un senso di vuoto, il suo cuore in quel momento rispose “Christian,
sono io, perdonami amore mio ti prego io non ce la faccio più a vivere in questo tormento, vorrei
solo che tu mi perdonassi, voglio sapere una cosa sola, ti prego non riattaccare, hai letto quella
lettera?” ebbene quella lettera che lei aveva scritto per lui giorni prima fu l’ultima e diceva
proprio cosi: “ Se sono ancora qui a scriverti sai esattamente il perché, sai esattamente ciò che
voglio e voluto, spero che adesso tu stia bene, sarei felice di rivederti sorridere un giorno e di
riavere la fiducia negli altri che io non potrei più darti solo perché tu non ci riusciresti, capisco il
tuo dolore, il dolore che ti ho causato non potrai mai dimenticarlo.




Ma io ogni giorno, me ne
pento con tutta l’anima soffrire giorno dopo giorno, per riuscire a ispirare le mie colpe e non c’è
altro luogo più tomentoso del mio animo. Preferirei essere morta che vivere questo tormento,
questa è la mia pena, il rimorso, un rimpianto che hanno bisogno di pace e di tempo per guarire.
Questo dolore è cosi grande, più del tuo, perché né le grida, né i miei dolori ti hanno fatto
cambiare idea. Non ho mai smesso di amarti in questi anni e l’amore che ti offro possa curare le
tue ferite. Nonostante tutto il mio dolore sento che i miei giorni passati accanto a te sono stati i
più felici della mia vita, ma adesso sono dei ricordi che continuano a tormentarmi l’anima.
Ormai è tardi e non posso far niente, è passato troppo tempo … ci siamo fatti tanto male a
vicenda ed è assurdo ricordare un amore che se ne è andato. Il tempo ha dimostrato tutt’altro, il
tempo avrà cancellato ma non il mio cuore. Sento che questo peso che porto dentro mi
perseguiterà per tutta la vita ma prima di strappare questa lettera in mille pezzi come il mio
cuore ti voglio chiedere solo un’ ultima cosa. Perdono per ciò che ho creato fra noi ,perdonami in
questa vita, perdonami chiedo solo questo perché non vorrei andarmene con il tormento che ho
dentro di me, dimentica il tuo orgoglio e quello che la vita ci ha recato, il danno che ci siamo
recati l’un l’altro. Non potremmo durare molti anni in questo mondo ma possiamo goderci il
tempo che ci resta, parlami e per una volta fallo con il cuore adesso, non dimentico, e ancor meno
non dimentico il tuo rifiuto cosa altro posso fare di chiederti perdono e forse allora potrei
respirare,il mio cuore non credo nessuno mai occuperà perché sei stato tu l’uomo che ho amato
di più, tranquillo non sto chiedendo di tornarci ma solo di perdonarmi, se hai letto questa lettera
con il cuore solo allora potresti capire. Io ti aspetto a casa quando vuoi anche fuori, ma spero che
capirai ciò che voglio non di ritornare perché so già la tua storia ma di venire e dirmi che mi hai
perdonata, una tua scelta, Ti aspetto Christian.” lui le rispose al telefono dicendo che non aveva
letto niente e che la sua ragazza gli aveva strappato dalle sue stesse mani quella lettera, basta
era finita, lui non voleva saperne di leggere quella lettera, che Eveline avrebbe tanto dato la
sua vita per farli capire quelle parole dettate con il cuore. Da quel momento lei rimase ferma a
guardare ciò che il destino le aveva tolto e quello che aveva guadagnato, si rifiutava di
perdonare se stessa e di conseguenza si rifiutò Dio in quel momento di perdonarla figuriamoci
se Christian un giorno l’avrebbe mai perdonata. Niente aveva più senso per lei aveva voglia
solo di morire, anzi la morte poteva essere per lei un sollievo, lei doveva sopportare, doveva
vivere quella punizione in vita tanto da soffrire dolorosamente come aveva fatto penare le
sofferenze alla persona che lei aveva amato. Non voleva più saperne niente della sua esistenza,
l’unica cosa che l’avrebbe resa felice e in pace con se stessa era il suo perdono, un perdono che
lei ha aspettato ma che non arrivò mai, cosi neanche la vita non ne era più consapevole di lei e
della sua tormentata anima, è stata cosi ingiusta la vita con lei è adesso se la sta portando via
lentamente. Tutto questo fa capire quanto l’essere umano sbagli ogni giorno e che quello
sbaglio potrebbe essere la propria condanna, l’unica cura del rimorso non è il pentimento ma
bensì la redenzione. Il loro amore è una storia cui niente mai potrà porre fine se non la morte
cosciente delle loro sorti.




PER VOTARE IL RACCONTO, OCCORRE METTERE MI PIACE ALLA RELATIVA FOTO, NEGLI ALBUM DELLE PAGINE FACEBOOK DI "SMARTLIFE" E  "L'AMORE PER I LIBRI". OGNI UTENTE PUO' INSERIRE FINO A DUE VOTI (SI RICORDA CHE VERRANNO CONSIDERATE SOLO LE PREFERENZE DEGLI ISCRITTI ALLE PAGINE).