sabato 18 luglio 2015

Vi racconto una storia: Il consumatore - Tonino Capra (Parte 2)


CONCORSO VI RACCONTO UNA STORIA
AUTORE/AUTRICE: T. CAPRA
TITOLO: IL CONSUMATORE

Uccidendo e mangiando il mio amico avevo varcato un confine dal quale non si tornava indietro.
In quel periodo cadevo spesso in trance, in stati di incoscienza. Quando tornavo in me cercavo di
ricordare cosa avessi fatto nel frattempo ma spesso non ci riuscivo. Era buio totale. Sforzandomi
anche riuscivo ad avere solo forti mal di testa. Il cervello cominciava a farmi brutti scherzi. Spesso
mi ritrovavo a camminare in luoghi isolati della città senza capire come vi ero giunto.
In quel periodo sparirono anche alcune persone che frequentavano la mia compagnia e precisamente
tre ragazze di facili costumi, che non furono mai più viste.
Dentro di me cresceva l'inquietudine e io non ne capivo il motivo. Ormai la mia vita trascorreva
quasi completamente nell'incoscienza con brevi e rare parentesi di lucidità mentale.
Intanto la mia vita da disoccupato nullafacente sembrava volgersi al termine: quella sera avrei
sostenuto il colloquio presso un'importante multinazionale nel campo dei succhi di frutta per il
posto di amministratore delegato. Per questo dovevo ringraziare un mio vecchio amico che aveva
sbandierato le mie referenze a destra e a manca in cerca di un impiego per la mia figura elitaria.




Mi presentai per il colloqui alle diciotto nella sede generale. La segretaria, una donna insignificante sui
quaranta mi pregò di attendere il mio turno su una delle sedie in sala d'attesa. Ingannai l'attesa
dando uno sguardo ad una rivista sportiva del mese scorso. Quando l'azionista di maggioranza aprì
la porta per invitarmi all'interno della stanza congedò la segretaria e la rimandò a casa. In sede
eravamo rimasti soltanto io e il mio prossimo datore di lavoro. Lui era un uomo sulla sessantina con
sopracciglia canute e un capello molto rado. Vestiva abiti sartoriali e si sorreggeva su un bastone di
mogano con il manico in avorio finemente lavorato e la punta acuminata. Mi invitò a sedermi
davanti alla sua scrivania. Prese in mano il mio curriculum e iniziò a scorrerlo con gli occhi.Ogni
tanto leggeva la fine del rigo ad alta voce ed annuiva. Alla fine si alzò in piedi,lasciando il bastone
appoggiato alla scrivania di noce e andò davanti al fuoco scoppiettante. Mi rivolgeva le spalle.
Cominciò a parlarmi con un tono da finto dispiaciuto. Mi spiegò che il loro marchio significava
molte cose e dava alla gente una sorta di rassicurazione. Molte mamme e bambini acquistavano le
loro bevande alla frutta. Di conseguenza gli alti dirigenti dell'azienda avrebbero dovuto rispecchiare
questo tipo di affidabilità. L'assunzione di gente chiacchierata avrebbe nuociuto al brand. A quel
punto mi chiese se tutte le voci che circolavano nel bel mondo sulle mie abitudini e sulla mia vita
privata fossero vere. Io tacqui; non sapevo cosa rispondere e soprattutto non riuscivo a capire a quel
punto a cosa fosse servito il colloquio se la sua decisione era stata questa fin dall'inizio. Il capo
parve leggere il significato del mio silenzio e rispose con aria acida dicendo che aveva un debito
personale con quel mio amico che ci aveva fatti incontrare e non aveva voluto deluderlo. Così aveva
deciso di concedermi il colloquio.
A quel punto la rabbia mi invase. L'uomo si girò verso di me. Io in uno scatto di ira presi il bastone,
mi alzai e mi scaraventai verso quell'uomo. Gli piantai il suo stesso bastone sotto lo sterno e le sue
grida ruppero il silenzio che permeava all'interno della sede. Il malcapitato si accasciò su se stesso e
finì con un braccio nel camino, a contatto con il fuoco. Io con la massima tranquillità mi diressi
nuovamente verso la scrivania che fino ad una manciata di minuti prima apparteneva all'uomo ora
deceduto e mi sistemai sulla sua sedia. Mi versai un bicchiere i brandy e poi un altro, e poi un altro
ancora. Vuotai quello che rimaneva della sua bottiglia. A quel punto tornai nuovamente vicino al
cadavere.
Cinque minuti dopo, una decina di poliziotti o forse più fecero irruzione nell'ufficio, allertati da un
vicino che aveva sentito un urlo ed assistettero ad una scena agghiacciante: un uomo seduto sul
tappeto davanti al fuoco staccava pezzi di carne dal braccio bruciacchiato del vecchio proprietario
dell'ufficio; quell'uomo ero io. Dopo avermi ammanettato mi portarono in caserma e mi destinarono
ad una cella provvisoria. Dovevo condividere quella cella con un altro uomo nell'attesa che
venissero sbrigate le pratiche per il mio fermo. Mi spiegarono che molto probabilmente sarei finito
in una casa di cura per l'igiene mentale. Quando mi condussero in cella il secondo galeotto era
immerso in un sonno profondo. Il cigolio rumoroso della porta però lo ridestò in fretta.
Quando i poliziotti mi abbandonarono nella mia nuova dimora temporanea il mio compagno
cominciò a tartassarmi di domande su come mi chiamavo, da dove venivo, per quale reato ero stato
imprigionato...Alla lunga iniziava a diventare fastidioso. Dovevo trovare un modo per farlo tacere...
Quando la mattina un poliziotto aprì la porta per portare la colazione vide una scena da incubo;
trovò me disteso sulla mia branda tutto coperto di sangue; distesi per terra cerano i resti di un corpo
reso irriconoscibile dal sangue e dalle mutilazioni subite; era il mio compagno di cella.Il secondino
alla vista di quello sfracello scappò di corsa a chiamare i suoi superiori.
Un paio di ore dopo mi trovavo davanti ad una commissione composta da uomini di legge e gente di
medicina che sospettavo essere psichiatri. Esposi senza fronzoli e senza mentire tutti i fatti che ho
riportato in queste pagine. Ho parlato anche delle motivazioni che mi hanno portato a comportarmi
in questo modo; del fatto che non ho mai ucciso per cibarmi delle carni della vittima ma sempre per
rabbia e come il mio cannibalismo fosse sempre stato una conseguenza e mai una causa dei miei
delitti. Avevo ucciso il mio amico durante una colluttazione. Il mio secondo delitto derivava da uno
scatto di rabbia. Il terzo uomo non la piantava mai di parlare!In nessun caso avevo ucciso
premeditando l'uso che avrei fatto in seguito del corpo. Il primo cadavere mi servì per sopravvivere
sull'isola; nell'ufficio della seconda vittima dovevate sentire che odore di arrosto che c'era!Nel terzo
caso non so nemmeno io il motivo certo della mia azione; probabilmente ero tentato dal provare
quel rischio in barba alla legge ed ai poliziotti che mi tenevano in custodia.
Nel corso della conversazione ribadii più volte fermamente la mia completa estraneità alla
sparizione delle tre ragazze che frequentavano il mio stesso locale ma sono convinto che queste mie
parole non trovarono credito.
Mi imputeranno sei omicidi oltre alla mia completa incapacità mentale.




Ho deciso di affidare la memoria di questi avvicendamenti alla carta per evitare di rimanere
incompreso. Probabilmente mi troverò presto a marcire tra le mura di qualche manicomio, drogato
da mattina a sera con sostanze che ti rimbambiscono. Nel giro di qualche settimana non ricorderò
nemmeno chi sono. Voglio però convincere chiunque leggerà le mie parole che non ho mai ucciso
per volontà mia ma sempre in preda a qualche demone che con il tempo si è impossessato della mia
mente e del mio corpo.Io non sono quello che uccide ma solo quello che mangia. E cosa ho fatto di
male allora?Cosa c'è di male ad amare la carne umana?C'è chi predilige il maiale o il vitello. Io amo
questa qualità; sono solo gusti. Volevo anche informarmi che da quando sono detenuto sono sparite
altre due ragazze che frequentavano le mie compagnie. Ora almeno ho un alibi. Come vedete non
sono pazzo; ho solo permesso al demone della rabbia di controllarmi. Vi prego non giudicatemi
male.




PER VOTARE IL RACCONTO, OCCORRE METTERE MI PIACE ALLA RELATIVA FOTO, NEGLI ALBUM DELLE PAGINE FACEBOOK DI "SMARTLIFE" E  "L'AMORE PER I LIBRI". OGNI UTENTE PUO' INSERIRE FINO A DUE VOTI (SI RICORDA CHE VERRANNO CONSIDERATE SOLO LE PREFERENZE DEGLI ISCRITTI ALLE PAGINE).

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